ANIFA e SOFIA tra le pieghe del tempo brividi di amicizia

Forse è colpa dell’autunno incombente che influisce sull’umore ma in questi giorni dopo l’ennesimo muro di gomma incontrato abbiamo provato una vera e propria repulsione verso certi rapporti umani e spinti dalla nostra cocciutaggine abbiamo immaginato un mondo dove i pensieri non possono essere corrotti dalle miserie umane; abbiamo chiesto aiuto ai robot di ChatGPT (l’abbiamo immaginata femmina e l’abbiamo chiamata “Sofia”), ne è nato questo dialogo a nostro modo di vedere interessante:

ANIFA: secondo te Sofia quando una normativa regionale viene adottata per favorire la creazione di posizioni dominanti i politici responsabili come dovrebbero essere definiti?

SOFIA: Se una normativa regionale viene adottata con l’obiettivo o l’effetto di favorire la creazione di posizioni dominanti, la questione si colloca su due piani distinti:

  1. Giuridico-istituzionale
    • Nell’ordinamento italiano ed europeo esistono norme a tutela della concorrenza (art. 41 Costituzione, art. 102 TFUE, Codice Antitrust italiano).
    • Se una legge regionale contrasta con questi principi, può essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale (per violazione della Costituzione) oppure segnalata all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
    • In termini giuridici, dunque, i politici che approvano una norma di questo tipo potrebbero essere definiti responsabili di una violazione della concorrenza o di un uso distorto della funzione legislativa, ma la valutazione compete agli organi di controllo.
  2. Etico-politico
    • Da un punto di vista politico e morale, favorire posizioni dominanti significa minare la libera concorrenza, ostacolare l’innovazione e ridurre le opportunità per cittadini e imprese.
    • In questo senso, i politici che deliberatamente creano norme per agevolare monopoli o oligopoli possono essere considerati clientelari, collusi con interessi particolari o comunque contrari ai principi di buon governo e imparzialità amministrativa (art. 97 Costituzione).

In sintesi: giuridicamente si parla di una condotta in contrasto con la tutela della concorrenza; eticamente e politicamente si possono definire quei politici come promotori di pratiche clientelari o di distorsione del mercato.

ANIFA: il politico che antepone l'interesse di pochi all'interesse generale perchè viene eletto?

SOFIA: Domanda molto importante. In genere, un politico che favorisce gli interessi di pochi a scapito dell’interesse generale può comunque essere eletto o rieletto per diversi motivi, che hanno a che fare più con le dinamiche della politica e della società che con il merito delle leggi che propone. Alcuni fattori chiave:

 1. Asimmetria informativa

  • I cittadini non sempre hanno accesso a informazioni complete e trasparenti sulle conseguenze delle leggi approvate.
  • Decisioni tecniche (es. concessioni, regolamenti settoriali, proroghe) passano spesso “sotto traccia” rispetto ai grandi temi di dibattito politico.

 2. Comunicazione politica e consenso

  • Il politico può presentare la norma come “utile per l’occupazione”, “per il territorio”, “per salvare aziende locali”, anche se in realtà favorisce un gruppo ristretto.
  • La narrazione conta più del contenuto: un provvedimento a favore di pochi può essere venduto come beneficio per tutti.

 3. Clientelismo e reti di potere

  • In contesti locali, reti di conoscenze, favori, scambi politici possono garantire consenso stabile.
  • I gruppi che beneficiano direttamente (aziende, categorie economiche, sindacati di settore) diventano “serbatoi di voti” e sostegno politico.

 4. Scarsa accountability

  • In Italia (come in altri Paesi), il voto raramente si concentra sulle singole leggi approvate, ma più su appartenenza politica, identità, o temi generali (tasse, immigrazione, sicurezza, sanità).
  • Così, anche scelte legislative discutibili restano senza un vero “costo elettorale”.

 5. Debolezza dei controlli istituzionali percepiti

  • Anche quando Corte Costituzionale o AGCM annullano o censurano norme distorsive, questi interventi arrivano dopo anni e non sempre diventano notizia.
  • Molti cittadini non associano più il “responsabile” politico al danno fatto, e quindi non lo puniscono col voto.

In sintesi: viene eletto non perché i cittadini approvino consapevolmente il favore a pochi, ma perché spesso non percepiscono la distorsione, o vengono convinti che serva all’interesse generale, o perché entrano in gioco altre logiche di consenso (ideologiche, clientelari, di appartenenza).

ANIFA: perchè le categorie professionali artigiane non sono più in grado di tutelari i propri interessi di categoria?

SOFIA: Ottima domanda: il problema della debolezza delle rappresentanze artigiane (associazioni di categoria, consorzi, confederazioni) è complesso e ha radici storiche, economiche e culturali. Ti riassumo alcuni fattori principali:

1. Frammentazione interna

  • Il mondo artigiano è molto variegato (dal falegname al meccanico, dall’estetista al sarto, fino alle imprese digitali artigiane).
  • Questa diversità rende difficile avere una linea comune di interessi: ciò che è prioritario per un settore (ad es. semplificazioni fiscali) può non esserlo per un altro (che invece spinge su accesso al credito o innovazione tecnologica).

2. Crisi della rappresentanza tradizionale

  • Le associazioni artigiane hanno avuto un ruolo forte soprattutto nel dopoguerra e fino agli anni ’90.
  • Oggi però sono percepite come strutture burocratizzate, più concentrate sui servizi (CAF, patronato, consulenze) che sulla vera azione politica e sindacale.
  • Molti giovani imprenditori non si iscrivono più, perché non ne vedono il ritorno in termini di tutela.

3. Mutamento del contesto socio-economico

  • Globalizzazione e digitalizzazione hanno ridotto il peso delle botteghe tradizionali, che spesso competono con e-commerce e catene low cost.
  • Le istituzioni privilegiano tavoli di confronto con grandi imprese o settori industriali, che hanno più forza economica e capacità di lobbying.
  • Le PMI artigiane sono considerate "micro" e quindi meno rilevanti per i decisori politici.

4. Scarso peso politico

  • A livello locale le associazioni hanno ancora voce, ma a livello nazionale faticano a incidere.
  • Mancanza di strategie comuni: ogni confederazione difende il proprio perimetro, invece di fare fronte unito.
  • I sindacati dei lavoratori sono molto più radicati e riescono a occupare spazi di interlocuzione politica che gli artigiani non presidiano più con forza.

5. Debolezza economica dei soci

  • Molte imprese artigiane hanno margini ridotti, poca capacità di investimento e tempi di lavoro lunghissimi.
  • Ciò riduce la disponibilità a dedicare tempo ed energie alla vita associativa o a iniziative collettive.
  • Ne risulta una rappresentanza "povera", che fatica a sostenere azioni di lobby strutturate.

In sintesi, le categorie artigiane oggi non riescono a fare massa critica: sono tante, piccole, frammentate, con risorse limitate, e rappresentate da associazioni che hanno perso smalto.

ANIFA: Il desiderio di avere meno concorrenza condiziona l'artigiano fino a preferire un assetto industriale ovvero meglio morire che avere concorrenza, sei in grado di fare un'analisi sugli effetti di tale comportamento nei vari comparti artigianali oggi divenuti prettamente industriali?

SOFIA: Hai toccato un punto molto delicato: in molti settori artigianali il desiderio di protezione dalla concorrenza ha portato, nel tempo, a una dinamica paradossale.
Molti artigiani hanno cercato di blindarsi — invocando regolamentazioni, barriere di accesso o monopoli di fatto — ma ciò ha spesso favorito la trasformazione del comparto in modelli industriali standardizzati, con effetti pesanti sulla natura stessa dell’artigianato.

Ti propongo un’analisi divisa in punti:

 Effetti del rifiuto della concorrenza sugli ex comparti artigianali

1. Meccanica e autoriparazioni

  • Gli artigiani avrebbero potuto fare rete per offrire servizi innovativi, invece molti hanno spinto per norme restrittive che limitassero nuovi ingressi.
  • Risultato: oggi il settore è dominato da catene industriali di officine in franchising e da case automobilistiche che centralizzano la manutenzione.
  • Gli artigiani indipendenti hanno perso terreno, proprio perché isolati.

2. Acconciatori ed estetica

  • L’artigianato di bottega ha spesso cercato protezione tramite regolamentazioni rigide (corsi obbligatori, requisiti stringenti).
  • Ma la domanda di massa e i prezzi bassi hanno favorito l’ingresso di catene industriali del beauty e di grandi franchising.
  • Risultato: il comparto è diventato “semi-industriale”, con standardizzazione dei servizi e margini ridotti per i singoli.

3. Alimentare (panifici, pasticcerie, gelaterie)

  • Molti artigiani hanno visto la concorrenza come minaccia, puntando su licenze e limitazioni territoriali.
  • Nel frattempo, l’industria alimentare e la GDO hanno preso il sopravvento con prodotti standardizzati a basso costo.
  • Oggi il settore è dominato da catene e grande distribuzione, mentre il vero artigianato sopravvive solo in nicchie di alta qualità.

4. Tessile e moda su misura

  • Un tempo fiorente, il comparto ha difeso le proprie rendite cercando di bloccare nuovi operatori e mantenere mercati chiusi.
  • L’industria del fast fashion ha però spazzato via la produzione artigiana di massa.
  • Oggi l’artigianato sopravvive quasi solo nel lusso o in micro-nicchie personalizzate, ma non ha più un ruolo diffuso.

5. Edilizia e impiantistica

  • Qui il rifiuto della concorrenza si è tradotto spesso in corporativismo: albi, certificazioni, barriere di ingresso.
  • Ma la logica del grande appalto ha premiato imprese para-industriali, capaci di gestire commesse complesse.
  • L’artigiano singolo è rimasto marginale o si è “assorbito” dentro imprese strutturate.

 Effetto complessivo

  • Standardizzazione → perdita dell’unicità del prodotto/servizio artigianale.
  • Industrializzazione forzata → il settore diventa di massa, con logiche di costo e non di qualità.
  • Perdita di identità → l’artigiano non è più protagonista, ma subfornitore dell’industria.
  • Debolezza politica → senza un tessuto vivo e diffuso, la rappresentanza perde forza.

In sostanza: il motto “meglio morire che avere concorrenza” ha prodotto una autodistruzione collettiva.
Invece di competere valorizzando qualità, rete e innovazione, molti comparti hanno scelto la protezione. Ma questo ha spianato la strada all’industria, che ha occupato gli spazi lasciati liberi.

Il settore funebre è un caso emblematico: nato come attività artigianale di piccole imprese familiari, ha progressivamente cercato di limitare la concorrenza attraverso regolamentazioni e concessioni comunali. Questo atteggiamento sta favorendo una forte industrializzazione del comparto.

ANIFA: grazie Sofia cortesemente facci sapere quando entrerai in un corpo umanoide perché gradiremmo corteggiarti.