Corte di Giustizia causa C- 342/17 e la diavoleria dei furbi

In data 18 novembre 2018 la Corte (terza sezione) dichiara: 

“L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che vieta, anche contro l’espressa volontà del defunto, all’affidatario di un’urna cineraria di demandarne a terzi la conservazione, che lo obbliga a conservarla presso la propria abitazione, salvo affidarla ad un cimitero comunale e, inoltre, che proibisce ogni attività esercitata con finalità lucrative avente ad oggetto, anche non esclusivo, la conservazione di urne cinerarie a qualsiasi titolo e per qualsiasi durata temporale.”


Leggendo la sentenza con un po’ di attenzione è possibile comprendere alcuni principi a nostro modo di vedere fondamentali. Innanzitutto è ribadito il principio della libertà di stabilimento (art. 49 TFUE) ed il principio della libertà di prestazione dei servizi (art. 56 TFUE), principi che possono essere ristretti solo da ragioni imperative di interesse generale. 
La Corte ribadisce che conformemente a una giurisprudenza costante, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere giustificata, a condizione che si applichi, senza discriminazioni basate sulla nazionalità, per ragioni imperative di interesse generale, purché sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo. 
Il caso concreto tratta della libertà o meno di un privato di gestire uno spazio per la conservazione e custodia delle urne cinerarie. 
Il comune di Padova individua tre cause imperative utili a restringere la libertà di insediamento, la tutela della salute; la necessità di garantire il rispetto dovuto alla memoria dei defunti; la tutela dei valori morali e religiosi i quali ostano alle attività che perseguono finalità lucrative.
Nel caso delle urne cinerarie gli aspetti igienico sanitari vengono a cadere perché le ceneri funerarie diversamente dalle spoglie mortali sotto il profilo biologico sono inerti, in quanto rese sterili dal calore, sicché la loro conservazione non può rappresentare un vincolo imposto da considerazioni sanitarie.
Nel secondo caso la Corte ha ritenuto che esistono misure meno restrittive che consentono di conseguire il citato obiettivo, quali segnatamente, l’obbligo di provvedere alla conservazione delle urne cinerarie in condizioni analoghe a quelle dei cimiteri comunali e, in caso di cessazione dell’attività, di trasferire tali urne in un cimitero pubblico o di restituirle ai parenti del defunto.
Nel terzo caso la Corte rileva che la stessa normativa nazionale prevede un inquadramento tariffario per la conservazione delle ceneri, pertanto l’attività privata di custodia delle ceneri poteva essere assoggettata al medesimo inquadramento tariffario, ed in ogni caso se lo Stato stesso ha previsto un tariffario allora si desume che il fine di lucro non è considerato ostativo alla conservazione delle ceneri.
Questa sentenza è molto importante perché ribadisce principi universali che vanno oltre il caso specifico. 
La libertà di iniziativa economica è un principio importante che bisogna saper apprezzare e tutelare, il fatto che in Italia lo Stato non sappia valorizzare la legalità, non sappia proteggere le attività virtuose, il fatto che in Italia i furbi la fanno sempre franca non deve indurre gli imprenditori ad accettare scorciatoie illiberali, le scorciatoie illiberali sono tentazioni demoniache architettate dai furbi.
Questa sentenza aiuta a capire che un intervento normativo sul comparto funebre deve essere strutturato su due livelli. Un livello è quello della riforma del DPR n.285 (polizia mortuaria) che deve essere svecchiato e alleggerito da ormai obsolete criticità igienico sanitarie, in questo senso si può ridurre fortemente la parte burocratica. L’altro livello è il riconoscimento e la regolamentazione dell’Onoranza Funebre intesa come attività produttiva artigiana soggetta a libera concorrenza con alcune correzioni giustificate da cause imperative di interesse generale. Le cause imperative non hanno alcuna attinenza con questioni igienico sanitarie, la cause imperative di interesse generale che giustificano una correzione alla libera concorrenza sono la tutela di una nuova figura giuridica riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza ovvero la tutela della “Famiglia Dolente”.
L’esistenza del “Cittadino Dolente”, delle sue criticità e fragilità è certificata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
La correzione che suggerisce l’ANIFA è l’istituzione per legge di un percorso formativo multidisciplinare senza il quale non è possibile svolgere l’attività funebre. L’ANIFA auspica in un futuro non molto lontano una qualificazione del settore tale da riconoscere la necessità anche di un corso di laurea per intraprendere la professione.   
Dobbiamo ammettere che in questa battaglia sindacale siamo incredibilmente soli, in questi anni abbiamo ricevuto molti attestati di stima ma scarsa collaborazione.
Un caso a parte è la Campania, in quella regione grazie alla SIFA (associazione regionale) abbiamo coinvolto un numero considerevole di operatori, la Campania è un caso a parte perché in questa regione si è toccato con mano cosa può accadere se si seguono le diaboliche sirene dei furbi. Si è toccato con mano la drammatica condizione di una burocrazia nel migliore dei casi ignorante e nei peggiori collusa, si è toccato con mano il cinico atteggiamento della politica che non ha idee, non ha valori, non persegue l’interesse generale ma è sempre pronta a concedersi al miglior offerente.
L’ANIFA finché potrà andrà avanti, migliaia di imprese e milioni di italiani dovrebbero auspicare una salute di ferro per questa associazione perché se molla l’ANIFA non ci sarà più alcun argine alla diavoleria dei furbi.



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Paolo Rullo
Segretario ANIFA